lunedì 27 ottobre 2014

ALEX BELLINI: L'AVVENTURIERO DELL'ANIMA - INTERVISTA PARTE 1



Chi è Alex Bellini? E' un avventuriero, keynote speaker e mental coach.

Negli ultimi dieci anni ha corso più di 23.000 chilometri, ma non si considera un corridore. Ha remato in solitaria più di 35.000 chilometri, ma non si considera neppure un vogatore. Ha vissuto in completo isolamento più di 560 giorni, ma non si considera un avventuriero solitario.
Ha attraversato l'Oceano Atlantico (2005), il Pacifico (2008) in barca a remi e ha partecipato alla LA-NY FOOTRACE (2011), la corsa coast to coast negli USA.

In primo luogo, Alex, come lui stesso ama definirsi, è un esploratore della natura umana.

E’ il co-fondatore di The 5th Element Ltd, una società inglese che fornisce servizi di motivational speaking e coaching sportivo, anche nel mondo del golf.

Ho avuto la fortuna di incontrare Alex a Milano e, da una chiacchierata molto piacevole sulle sue avventure, metafore di vita vera, è nata questa intervista, che voglio condividere.

La tua vita Alex, intorno ai 20 anni, era da studente di Scienze Bancarie ed Economia e Commercio e poi ad un certo punto sei diventato un "avventuriero". E' stato un colpo di fulmine?
In realtà, la mia vita a 20 anni aveva tutta un'altra forma. Ero un ragazzo che amava l'amicizia e la socialità, che andava in discoteca e faceva anche centinaia di chilometri per fare serata.
Tuttavia col tempo ho cominciato a sentire una sorta di distacco dalla persona che sarei voluto essere e che invece stavo diventando. Al terzo anno di università mi sono fermato e ho fatto un proiezione di me stesso a 10 anni e quello che ho visto non mi è piaciuto per niente. Sarei diventato un mediocre tecnico di borsa, mentre la mia pancia voleva che facessi altro. E' stata la paura a farmi diventare avventuriero, per scappare da quella situazione che mi stava portando su un binario morto.
Diventare quindi un avventuriero è stato lento e non un colpo di fulmine,  mi sono dovuto allenare molto e prepararmi con intensità. E' stato un percorso fatto di dubbi, perplessità, perché fare qualcosa che altri hanno già fatto ti da sicurezza, mentre avventurarsi per un sentiero sconosciuto è già di per sé un rischio.

Pensando alle avventure incredibili nelle quali ti cimenti, si pensa spesso al cliché del super uomo, tutto muscoli, alla Supeman. Chi ti conosce invece sa che, tutto sommato, sei il classico vicino di casa insospettabile. Questo che significato ha per te?
Per me questo ha un significato profondissimo. Da un lato il mio ego sarebbe gonfio se fossi l'unico o uno dei pochi a riuscire a fare queste imprese. Dall'altro per me è molto più importante essere un riferimento, un'ispirazione per gli altri e per riuscire a farlo devi essere vicino alle persone, che si devono poter riconoscere in te.
Il fatto di essere, e non lo sono, un super uomo, mi allontanerebbe dagli altri. Tutte le volte che mi capita di ispirare le persone a vivere la vita con l'attitudine all'avventura, se fossi modello Superman scatenerebbe un pensiero in chi mi ascolta del tipo "Si ma lui può e io no".
Invece conoscendomi, vedendo dell'avventura il lato umano, delle difficoltà, dei dubbi, della paura, mi rende più credibile e vicino alle persone. E questo è importante se vogliamo essere dei riferimenti.

Il saggio dice "Il successo è un viaggio, non una meta". Secondo te è solo una frase fatta o una verità?
Io credo che non sia solo una frase fatta, ma ci sia della verità, anche se è difficile da accettare, come nella traversata a remi dell'Oceano Pacifico, dove l'avventura aveva senso di per sé, non tanto il raggiungimento di una meta. 
Mi alzavo ogni mattina e avevo in mente in maniera nitida un'immagine e questa non era il percorso, ma l'arrivo a Sidney. Quindi ho navigato per 10 mesi in un Oceano, a remi, con in testa l'obiettivo di raggiungere il mia meta.
Tuttavia durante questo lungo periodo, più remavo e più chilometri facevo e più mi rendevo conto che non era nella meta che dovevo concentrare i miei sforzi, ma nel percorso stesso, sui singoli giorni che Dio mi mandava sulla terra. Ogni giorno che vivevo era un'avventura, un'esperienza straordinaria.
Quando al termine dell'avventura ho dovuto decidere tra la vita e la morte, interrompere la navigazione o proseguire il tentativo di raggiungere Sidney, non ho esitato un secondo. Improvvisamente era apparso ai miei occhi che ciò che mi aveva reso una persona migliore era stato il viaggio stesso, non l'arrivo in Australia e quindi l'arrivo a terra aveva perso improvvisamente di significato.

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